mercoledì 24 novembre 2010

Intervista ad Alessia Tuttino


Alessia Tuttino, calciatrice italiana che gioca come mediano nella Roma, ha rilasciato in ESCLUSIVA per l’apams un’intervista prima di partire per gli Stati Uniti, dove insieme alla nazionale italiana di calcio femminile, il prossimo 27 novembre, disputerà la partita di ritorno per la qualificazione ai mondiali. 

La giocatrice si è messa a nudo parlandoci di lei, di come è nata la sua grande passione per il calcio, dei momenti più belli e più difficili che ha dovuto affrontare durante la carriera e di tutto quel che pensa del mondo del calcio in Italia. 

Alessia  è nata a Udine il 15 marzo 1983, e gioca anche con la maglia della nazionale, dove con grande qualità e spirito di sacrificio, ha saputo realizzare reti spettacolari.
Alessia inizia la sua carriera calcistica all'età di 7 anni con i pulcini e gli esordienti della squadra di calcio di Basiliano, mettendosi in luce anche con compagni e rivali dell'altro sesso. A 14 anni inizia la sua avventura nel calcio femminile con la maglia del Tenelo Club Rivignano, con il quale gioca i campionati di Serie C e Serie B. All'età di 18 anni, nel 2001, avviene il grande salto che la legherà al calcio femminile di Verona e provincia, ovvero il passaggio al Foroni Verona, dove gioca per una stagione prima di passare al Bardolino. Con la maglia del Bardolino vince tutto a livello nazionale e si conferma come colonna del club benacense e della nazionale italiana.

Com’è nata la tua passione per il calcio? 

Era già dentro di me, se si può dire così, anche perché avevo mio fratello più grande che già giocava a calcio. Fin dall’asilo non ho mai giocato con le bambole, ma il mio gioco preferito era il pallone. Direi che è stato un amore a prima vista.

A che età hai iniziato a giocare?

Ho iniziato a giocare a sette anni insieme ai maschietti. Ho giocato in tutte le categorie fino agli esordienti e i giovanissimi. Fino ai quattordici anni sono stata con i ragazzi, anche perché prima non avrei potuto giocare con le ragazze, e poi a quattordici anni sono passata ad una squadra di calcio femminile.

Qual è stata la prima squadra in cui hai giocato?

E’ stata una squadra di Udine che si trovava dove abitavo, a Rivignano, era una squadra di serie C, poi passata in serie B. Sono stata con loro 4 anni e poi sono stata acquistata dal Foroni Verona,che adesso non esiste più. Adesso gioco nel Bardolino.

Ti è mai capitato di esserti pentita di avere scelto questa carriera?

Assolutamente no! La passione è talmente tanta che quello che mi piace fare è giocare a calcio, anche se a volte penso a quello che farò in futuro, perché il calcio è una parentesi che può durare tanto come poco. Noi calciatori in mano, di materiale intendo, non abbiamo molto, quindi si possono fare delle scelte a livello lavorativo o di studio diverse.

Quando smetterai di giocare cosa ti piacerebbe fare?

In questi anni mi sono laureata in Scienze motorie e mi piacerebbe prendere un’altra laurea, quindi vorrei continuare gli studi in fisioterapia. Per ora l’impegno calcistico è tanto e quindi non lavoro a tempo pieno, ma la mia idea per il futuro ce l’ho!

Quali sono le tue prossime ambizioni calciastiche?

Se ci riusciamo, sarebbe bellissimo andare al mondiale con la nazionale, anche perché non ne ho mai giocato uno. Proprio sabato 27 novembre giocheremo la partita di ritorno con gli Stati uniti per la qualificazione al mondiale.

Ricordi un momento particolarmente difficile che hai dovuto affrontare durante la tua carriera?

Beh sicuramente l’infortunio grave che ho avuto nel 2005 quando ho rotto il crociato. Ciò non mi ha permesso di andare a giocare quello che sarebbe stato il mio primo Europeo.

Qual è stato il momento più bello della tua carriera?

I ricordi più belli sono legati a delle vittorie. Col Bardolino in particolare la semifinale di Champions League, dove abbiamo giocato davanti a quindici mila spettatori, ed è stata un’emozione grandissima. Invece con la nazionale uno dei momenti più belli è stato un mio goal che l’anno scorso ci ha permesso di vincere la partita dell’Europeo contro l’Inghilterra, un 2 a 1 su un mio goal da 30 metri.

E un momento deludente?

Il primo che mi viene in mente risale all’anno scorso, agli Europei contro la Germania abbiamo perso immeritatamente per 2 a 1 la partita che ci avrebbe  portato in semifinale.

Credi che in Italia ci sia interesse per il calcio femminile come per il calcio maschile? Se così non è, secondo te perché?

L’interesse sicuramente non è proporzionato. Si tratta di due mondi totalmente diversi, pur giocando sempre a calcio, per cui le regole, il pallone, il tempo di durata sono uguali, ma sicuramente l’interesse per il calcio maschile è maggiore, anche perché vi ruotano intorno maggiori interessi economici e perché a livello di società il calcio è visto come uno sport prettamente maschile. Devo essere sincera: negli ultimi anni c’è stato un maggiore interesse per il calcio femminile. L’ideale sarebbe che le società di calcio maschile avessero un settore dedicato al calcio femminile, per dare non solo una maggiore sicurezza economica alle calciatrici, ma anche la possibilità di potersi allenare in strutture più adeguate, e anche in caso di infortuni avere delle strutture che permettono un recupero più rapido.

Il calciatore viene spesso visto come una persona privilegiata, con un grande rilievo sociale. Credi sia uno stereotipo? Tu come vivi questa cosa?

Noi calciatrici sinceramente non viviamo questa cosa, anche perché se giri per le strade non ti fermano, non ti riconoscono. Magari per il calciatore è diverso, perché chiunque, dal ragazzino alla persona più anziana, lo riconosce.

Se fosse in tuo potere farlo, cambieresti qualcosa di ciò che regola il mondo del calcio?

Sicuramente sì! Essendo una donna cambierei il mondo di pensare e vedere le cose, perché il calcio è calcio a prescindere dal sesso del giocatore. Non c’è differenza, se non quelle fisiologiche che ci sono sempre tra uomo e donna. Il calcio è uguale per tutti!

Valentina Capezzuto

venerdì 12 novembre 2010

La testa nel pallone!



Si apre ufficialmente un nuovo mese dedicato al calcio....ancora una volta diamo la possibilità a tutti i nostri amici di scrivere articoli, inviarci video, foto, curiosità sull’argomento. I materiali più interessanti saranno pubblicati sul blog per discuterne anche insieme ai nostri esperti.
Non importa essere degli atleti professionisti per partecipare. Vogliamo condividere con voi l'amore per lo sport e conoscere meglio il mondo di chi ha fatto del calcio la sua passione più grande, o semplicemente lo segue alla tv.
Potete scriverci all'indirizzo info@apams.eu ...sarete voi i nostri autori! Allora tutti pronti per metter la TESTA NEL PALLONE???

mercoledì 3 novembre 2010

Misurazione e controllo del carico dell'allenamento

Prof. Domenico Scognamiglio, tecnico specialista nazionale di A.L.

Uno dei punti fondamentali nella preparazione fisica di un atleta riguarda la misurazione ed il controllo dell’allenamento.
Nel corridore di resistenza tale controllo, rispetto agli sport di situazione dove le componenti che possono influenzare la prestazione sono sicuramente maggiori, è più semplice e lo si può dividere in 3 fasi:
  1. Raccolta delle informazioni 
  2. Elaborazione delle stesse
  3. Pianificazione, adattamento e modificazioni dell’allenamento
A tal proposito, quindi, diventa necessario per il raggiungimento dell’obiettivo conoscere esattamente lo scopo che vogliamo ottenere, per poter progettare un allenamento invece che un altro.
Nella seduta d’allenamento del maratoneta, la misurazione della quantità del lavoro da svolgere, che è alla base (relativamente alla distanza di gara) di ogni allenamento di corsa, risulta semplice definirla perché è determinata dalla misurazione dello spazio percorso.
L’ intensità, invece, è un valore che cambia in relazione al livello tecnico dell’atleta, alle sue caratteristiche, agli anni d’attività sportiva, alla qualità della vita che svolge… Ad esempio un atleta top level, rispetto ad un atleta amatore, correrà la maratona non solo in tempi più brevi, ma anche con un dispendio energetico molto più basso nell’unità di tempo.

Il carico d’allenamento, quindi, rappresenta la spesa energetica e mentale richiesta ad un atleta per eseguire un determinato allenamento. Tale carico a sua volta si divide in  esterno ed interno.
Il carico esterno rappresenta l’allenamento che svolgiamo, esso è semplice da misurare e dipende dalla quantità e dalla qualità (intensità) del lavoro svolto.  
Il carico interno, invece, rappresenta la sommatoria degli stress che l’organismo subisce da un determinato carico esterno. Esso non dipende però solo dal carico esterno, ma anche dalle condizioni psico – fisiche che caratterizzano l’organismo nel momento in cui è sottoposto a stimoli esterni.
Ad esempio: fare 45’ ora di corsa a 15 km/ora (4’00” al km) ci dà l’indicazione di un preciso carico esterno. Se questo tipo di lavoro, svolto però da due atleti (A e B) in possesso rispettivamente di una soglia anaerobica di 17 km/h (A)  e 19 km/h (B), a parità di condizioni psico fisiche lo rapportiamo alla fatica espressa, l’atleta (B) farà molto meno fatica perché lavorerà ad un intensità inferiore rispetto alle sue possibilità. In questo caso, otterrà anche un effetto diverso rispetto all’atleta (A). Affinché la fatica e l’intensità degli stimoli sia simile per entrambi, diventa necessario chiedere di correre ad una determinata percentuale della loro soglia anaerobica (es: - 20% ). In tal caso, l’atleta (A), per ottenere lo scopo  prefisso, dovrà correre ad un ritmo di circa 4’15” al km,  mentre l’atleta B ad un ritmo di circa 3’50” al km. Con questo semplice esempio s’identifica l’errore che frequentemente si commette quando si combinano allenamenti con le stesse modalità, quantità e durata tra atleti di diverse caratteristiche e/o valore tecnico.
Naturalmente tra i vari mezzi d’allenamento l’individualizzazione del solo parametro intensità non è certamente sufficiente, né risulta l’unico mezzo per poter identificare il carico interno dell’atleta.
Infatti, diversi  sono i fattori che incidono su di esso e che possono causare stress differenti, tra cui:
    1. Capacità d’abitudine a svolgere un particolare tipo di lavoro
    2. Il tipo e la qualità degli allenamenti svolti nei giorni precedenti 
    3. La capacità di recupero degli stessi   
    4. Alimentazione, ore di sonno
    5. Stile e qualità della vita tra cui: alimentazione, ore di sonno, tipo di attività lavorativa (ad esempio: un lavoro fisicamente impegnativo incide nel tempo sicuramente negativamente nella sommatoria degli stress interni dell’organismo, per cui richiede di recuperi più lunghi, stessa cosa vale per un lavoro che richiede un grande impegno mentale) 
    6. Le condizioni ambientali durante gli allenamenti (altura, caldo, percorso ondulato...)
     
    Pertanto, nella programmazione e nello svolgimento dell’allenamento, sia per un miglior sviluppo sia per prevenire i danni che un errata programmazione potrebbe provocare all’atleta, diventa molto importante tener sempre conto di queste variabili.
    La valutazione del carico interno, tuttavia, anche se fatta empiricamente è possibile razionalizzarla nel migliore dei modi attraverso:
      • Conoscenza delle modificazioni fisiologiche sull’organismo dai diversi sistemi d’allenamento
      • Monitoraggio delle risposte fisiologiche e prestative dell’organismo all’allenamento (es: controllo della FC; della S.A. …)
      • Scambio periodico di sensazioni ed esperienze tra allenatore ed atleta
      • Effettuazione di Test periodici di controllo
      Ascoltare i segnali del corpo, per quanto non cosa semplice da fare, è un’espressione quanto mai giusta perché il nostro organismo ci invia sempre i giusti messaggi, attraverso un campanello d’allarme, per evitare di incorrere in problemi di overtraining.