lunedì 31 gennaio 2011

Maria Ponticiello: cos'è per me il calcio? Passione, amore per la propria maglia, rispetto, disciplina e sacrificio.



Un altro contributo è stato spedito in redazione da una nostra lettrice Maria Ponticiello, anche lei giocatrice 23enne campana. La ringraziamo per il suo contrbuto alla nostra iniziativa.

"Ho iniziato a giocare a calcio un po' prima che compissi 11 anni, ora ne ho quasi 24, sono passati ben 13 anni dalla prima volta che ho preso a calci un pallone.
Giocare è un po' come evadere dalla vita di tutti i giorni, trovare quel luogo ideale dove riesci a esprimere quello che hai dentro, quello che realmente sei. Quando corri, sudi, ti alleni, si scatena dentro di te una forza indescrivibile...quella voglia di continuare anche se sei a pezzi, stremata perché sai che tutti quei sacrifici verranno ripagati in campo. E quando sei in campo vai in trans agonistica, tutto ciò che è fuori non conta, devi fidarti di te e delle tue compagne, avverti una sensazione di agitazione che trasformi in determinazione e ti lascia andare in quella partita che, non importa come andrà a finire, tu ci avrai messo il cuore.
Ho sempre giocato a 11, ma è già il secondo anno che gioco nell'Isef, una squadra di Poggiomarino di calcio a 5 di serie A. Siamo vincitrici dello scudetto e Supercoppa italiana.
Non posso che pensare che il calcio sia uno degli sport più belli al mondo, naturalmente ci sono molte, anzi fin troppe, differenze tra quello maschile e femminile. Forse principalmente sta nel fatto che nessuno investe nel femminile, di conseguenza il livello è molto basso e così facendo non diventerà mai uno sport seguito dalle persone. Il pubblico vuole divertirsi, se non ci sono strutture e attrezzature adatte non si può mai crescere. Il mondo  del calcio femminile è pieno di professionisti preparati e in gamba, ma se nessuno investe non ci sono fondi per pagare questi professionisti e nessuno lavora solo per passione.
Io ho un modo tutto mio di vedere il calcio, per me è passione, amore per la propria maglia, rispetto, disciplina, sacrificio. Non bisogna solo esser forti per giocare a calcio, chi oggi inizia a giocare da bambina non assimila questi valori che per me sono alla base di tutto. Forse proprio questo vorrei cambiare. Maria Ponticiello"

lunedì 24 gennaio 2011

Emanuela Schioppo: l’errore peggiore è pensare che quello che conta più di tutto in una partita sia vincere!



Pubblichiamo di seguito il contributo di Emanuela Schioppo, giovanissima calciatrice napoletana di 19 anni,  promessa del Carpisa Yamamay, che ha inviato in redazione il suo contributo per l'iniziativa "La testa nel pallone!".
“Sin da piccola mio nonno, mio fratello ed io avevamo una passione che ci accomunava: il calcio! Era una passione innata, che porto ancora dentro di me.
Ho incominciato a dare i primi calci ad un pallone quando avevo 5 anni, son cresciuta insieme ai miei amici giocando in piazza e per strada, inventando porte e alcune volte anche palloni di carta...
Ho giocato così fino all'età di 16 anni, poi ho deciso di voler giocare a livello agonistico e professionale. Da allora gioco in una squadra femminile di serie A2: la Carpisa.
Cercare di spiegare a parole cosa significhi per me giocare a calcio non è facile, perché alcune emozioni le puoi vivere solo giocando, solo entrando in campo e lottando con e per la squadra. Il calcio non è solo un gioco, è molto di più: è gioia, sacrificio, dolore, sofferenza...ma credo che al di là di tutto ci sia divertimento, perché alla fine l'importante è che ci si diverti.
Il calcio era ed è ancora oggi lo sport nazionale degli italiani. Nessun altro sport muove la tempra dal nord al sud, dai giovani e vecchi, dai ricchi e poveri così tanto quanto il calcio. La domenica pomeriggio diventa sempre più un pomeriggio dedicato al calcio, un festival di emozioni a cui tutta la famiglia partecipa.
Purtroppo, però, si parla solo di uno sport maschile dove tra l'altro girano tantissimi soldi: basti pensare a quanto guadagna un giocatore all'anno o semplicemente al mese. Il calcio maschile spopola rispetto a quello femminile che resta sempre più in ombra, .anzi alcuni non sanno nemmeno che esiste!
Vorrei tanto che al calcio femminile fosse data più visibilità, perché dietro ad ognuna di noi ci sono anni di sacrificio che in alcuni casi non vengono neppure ripagati. Lo ripeto, noi donne giochiamo per passione, divertimento, ma soprattutto con il CUORE....parole che nel calcio maschile non esistono nemmeno.
Concludo con una frase sul calcio letta su un libro che mi colpì molto e che racchiude tutto il mio pensiero: “L’errore peggiore è pensare che quello che conta più di tutto in una partita sia vincere. Niente affatto. Quello che conta è la gloria. È giocare con stile, con bellezza, è andare in campo e travolgere l’avversario, non aspettare che sia l’avversario a farsi avanti e così morire di noia.” (Robert Dennis da “Il libro delle liste sul calcio”). Emanuela Schioppo”

martedì 18 gennaio 2011

Roberta Faraone: il calcio è la mia passione più grande!

Ieri sera è arrivata in redazione questa bellissima mail di Roberta Faraone, una giovane calciatrice napoletana di 24 anni, che ha voluto condividere con noi la sua testimonianza, mettendo in luce anche i problemi legati al mondo del calcio femminile, soprattutto qui in Campania. Ringraziamo Roberta per il suo prezioso contributo alla nostra iniziativa "La testa nel pallone!".

"Ho iniziato a giocare a calcio praticamente da quando sono nata! Per i miei compleanni o a Natale l’unica cosa che desideravo ricevere era il pallone, con il quale vivevo completamente in simbiosi.
Verso i 5/6 anni, età in cui mi affacciavo ad una realtà diversa da casa mia, ho iniziato a giocare nel parco dove abito con i miei carissimi amici, che mi hanno accompagnato per tutta l’adolescenza. E' strano raccontarlo, ma io ero l'unica ragazza tra tanti maschi, ma non m'importava, perchè l'unica cosa che volevo era giocare a calcio e, grazie alle qualità che solo Dio ha voluto donarmi, venivo rispettata tanto quanto loro. Paradossalmente avevano di me la stessa considerazione di un ragazzo!
Solo nella fase adolescenziale mi resi conto che, per ovvi motivi fisici, ma anche mentali, non mi era più possibile giocare con coloro che fin a quel momento erano stati i miei compagni d'avventura. Fu solo allora che, grazie ad alcune conoscenze, approdai finalmente in una vera squadra di calcio femminile nonostante mia madre si mostrasse ostile verso la mia passione.
Ancora ricordo la prima volta che misi piede sul campo del "Napoli femminile" e vidi due ragazze correre x un banale riscaldamento: il cuore mi batteva all’impazzata..avevano i capelli lunghi, il seno..erano proprio delle ragazze come me!!!! Non a caso che una delle due diventò il mio "maestro",  nonché il mio idolo!
La prima grande esperienza calcistica l’ho avuta a 14 anni, età che ti permette, agonisticamente, di poter giocare. Era la mia prima squadra, le mie prime compagne, le mie prime partite...non vivevo che per tutto questo e ciò che vi ruotava intorno.
A 14 anni mi allenavo alle 21 di sera nei posti più svariati della Campania, tornavo a casa di notte e il giorno seguente mi alzavo per andare a scuola FELICE, perché nessun sacrificio valeva tanto quanto perdere la possibilità di giocare. Tuttavia, il momento + bello della mia breve carriera lo lego alla mia seconda squadra, che rappresenterà per sempre l'amore più grande della mia vita. Lì ho trovato le amiche di una vita, con le quali condividere i valori e i principi su cui ancora oggi la mia persona si basa. La Domina, nome della società, non è solo una squadra per me, ma una famiglia! Nel mondo del calcio femminile, dove purtroppo non girano molti soldi, l'attaccamento alla maglia e la passione che le ragazze hanno dentro è uno dei principali motivi su cui si basa l'esistenza della maggior parte delle società italiane.
Gli episodi che porterò sempre nel cuore riguardano un paio di vittorie in una stagione che ci portò ad un passo da un sogno chiamato serie A, ma che purtroppo svanì all'ultima giornata, e la vittoria del campionato di serie C, dopo anni di sacrifici, che ci portò finalmente in uno scenario nazionale. L’episodio più brutto fu, invece, il fallimento della nostra grande famiglia.
Le emozioni che provo quando gioco non sono facili da rinchiudere in banali parole...spesso mi rendo conto che il calcio femminile non rappresenta futuro e che sia giusto accantonarlo per dare una svolta alla mia vita. Ogni anno mi prometto che sia l'ultimo ma poi non riesco a stare lontana dal campo. Il campo mi dà la possibilità di sfogarmi, rappresenta libertà! In campo esprimo quello che sono liberamente, ma soprattutto, e credo che con questo posso racchiudere tutto quel che sento, con il pallone io sono felice e in quei momenti non mi m’importa di niente e di nessuno!!!
In un mondo sporco e bigotto non poteva salvarsi il mondo del calcio,  che sia quello maschile alla massima potenza o quello femminile: un mondo sporco, basato su interessi economici, falsità, ricatti, imbrogli quello maschile, invidia e ignoranza quello femminile. L ‘unica cosa da salvare almeno in quello femminile è la passione che spinge noi appassionate di questo sport a fare tanti sacrifici affinché il calcio non si fermi. Purtroppo si è consapevoli che il calcio femminile in un paese arretrato come l‘Italia non potrà mai eguagliare quello maschile. Per molti uomini Italiani le donne non possono essere accostate al calcio, infatti il nostro sport è poco, anzi quasi per niente, seguito dai media e dai giornali.  Ma, almeno a me, questo non m’importa..io gioco perché amo giocare e perchè senza calcio non vivo! Roberta Faraone".